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Tra storia e polemica: il Senato della Repubblica

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Polemiche e critiche sull’elezione del Senato della Repubblica

 

Da tutte le forze politiche ormai si sbandiera ad ogni piè sospinto che il “bicameralismo perfetto” va superato al più presto per “sveltire” le operazioni di governo. Senza entrare nel dibattito odierno, fin troppo caldo, mi sono preso una prospettiva storica non particolarmente lunga (circa una decina d’anni), ma nemmeno tanto breve, al fine di vedere quali erano le vedute di cambiamento del Senato della Repubblica alcuni anni or sono, e cioè quando si era  un po’ “fuori” dal focus delle polemiche e delle discussioni odierne.

 

Al fine di “storicizzare” la questione, mi sono rifatto a due fonti soltanto, anche, e soprattutto,  per semplificare il più possibile un tema che, di fatto, è estremamente complesso.  La prima fonte  è costituita da due resoconti stenografici degli interventi del Senatore D’Onofrio (del 2004), e l’altra da un intervento di Beniamino Carovita, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso Università di Roma “La Sapienza”,  su “Il Quaderno di Astrid” (del 2007).

 

In realtà, il dibattito odierno sulle modalità di elezione del Senato della Repubblica non è una questione di lana caprina, ma rappresenta lo scontro di posizioni diverse tra quanti  tenderebbero a vedere, nelle modalità di elezione dei senatori (  “indiretta” o “diretta”), da un lato il “depotenziamento” della funzione del Senato rispetto alla Camera dei Deputati, e dall’altro chi invece vorrebbe che il Senato conservasse pari forza e “dignità” rispetto alla Camera. Tengo a precisare che questa impostazione è una “semplificazione” del problema, e che tende a vedere essenzialmente gli aspetti, diciamo così, “più nobili” della questione, dando pressoché per scontato che pure probabilmente esistono anche motivazioni “meno” nobili, sulle quali si sorvola in questa sede.

 

Dalla lettura delle “fonti” sembrerebbe abbastanza evidente il fatto che un Senato che non fosse eletto “direttamente” dal popolo risulterebbe tutto sommato un’istituzione abbastanza  “scolorita” rispetto alla Camera dei Deputati, che invece può contare sulla piena  “legittimazione” del voto popolare. Ciò detto, veniamo ora agli interventi del Senatore D’Onofrio:

 

“Nell’illustrare l'emendamento 3.2000 desidero, signor Presidente, ripercorrere per qualche minuto una vicenda molto importante che riguarda come si intende, da parte del Senato, proporre, nella riforma costituzionale, la composizione e le funzioni del Senato federale.

 

Da questo punto di vista, sebbene l'emendamento affronti un problema fondamentale come quello delle modalità di voto e quindi della contestualità con i Consigli regionali, è importante aver presente che l’Aula ha già votato, ovviamente in modo consapevole dal momento che è stata richiamata più volte l’attenzione su questo punto, l’articolo 2 - se non sbaglio - del testo di riforma costituzionale, nel quale si afferma che il Senato è un "Senato federale". Ossia, la scelta per il modello federale del Senato è già stata compiuta da quest’Aula mentre, credo opportunamente, essa non ha ritenuto di definire federale l’ordinamento della Repubblica, perché in un ordinamento che compiutamente federale non è, è federale il Senato.

 

Si tratta quindi di un passaggio al modello federale del nostro Stato che riguarda quella delle due Camere che non è chiamata a concorrere alla funzione di Governo sulla base di una legge elettorale. Quest’ultima, come viene scritto nel testo costituzionale proposto dal Governo, deve favorire la formazione di una maggioranza in una delle due Camere - chiamiamola la Camera di Governo - mentre l’altra Camera è definita Senato federale.

 

Nel corso dell'importante dibattito svoltosi in Commissione si è pervenuti progressivamente alla convinzione che il Senato dovesse essere federale per composizione più che per funzioni. Non che le funzioni siano irrilevanti, ma la composizione finiva per diventare la caratteristica fondamentale del Senato più delle funzioni stesse.

 

Vi era una continuità di fondo tra ispirazione della proposta del Governo e il lavoro in Commissione: comunque, i senatori dovevano essere eletti direttamente dal corpo elettorale. Richiamo questo concetto perché ha rappresentato e rappresenta un punto di snodo dell'ultimo emendamento presentato da me, che concerne una delle possibili modalità di elezione del Senato, ma non modifica quello che è stato considerato da sempre nella proposta del Governo un elemento di discrimine, l'elezione diretta dei senatori”  (1).

 

In un successivo intervento, del marzo 2004, D’Onofrio asseriva:

 

“Alcuni colleghi affermano che si va verso un Senato debole. Occorre capire se la scelta di un nuovo soggetto istituzionale interamente eletto dal corpo elettorale delle rispettive Regioni è o meno una scelta che di per sé lo rende forte o no: se la forza, in altri termini, può essere data da elementi diversi dalla elezione dei senatori. A me è sembrato che così non fosse. Da questo punto di vista, il voto sull’articolo 3 espresso ieri ha rappresentato, a mio giudizio, un complicato e faticoso tentativo di dar vita ad un organismo rappresentativo ad elezione popolare diretta che, in quanto tale, mi sembra sia una delle ipotesi che si sono discusse e si stanno discutendo anche nel Paese.

 

Altre ipotesi sono state discusse nel Paese e non sono state finora accolte; dubito si trattasse di ipotesi di per sé più forti dal punto di vista della composizione -ora verrò alle funzioni - perché mi è sembrato (ma posso sbagliare) di ritenere l’elezione diretta dei senatori un elemento di forza e l’ipotesi di una composizione del Senato in cui fossero presenti soggetti non eletti direttamente un fatto di debolezza. Tutti hanno detto che così non è e non ho nulla da obiettare. Però, vorrei fosse chiaro che di questo si è trattato. Abbiamo costruito un Senato composto di senatori eletti dal corpo elettorale, non abbiamo dato vita ad un Senato di persone elette per fare un altro mestiere: consiglieri comunali, sindaci, Presidenti di Provincia, persone ovviamente degnissime, ma che hanno forza in un contesto come quello regionale o locale, almeno fino ad ora”(2).

 

 I rilievi in materia di Beniamino Carovita:

 

“Infine, il superamento del bicameralismo paritario e perfetto è sempre di più all’ordine del giorno. In realtà, la modifica del ruolo del Senato è ormai  più un problema di forma di governo che di forma di stato, giacché in Italia, come in altri Paesi regional-federali, le entità sub-statali possono trovare altre – e più efficienti – forme di rappresentanza al centro: comunque, il superamento del bicameralismo perfetto verso una Camera di rappresentanza territoriale, sganciata dal circuito della fiducia politica può essere auspicabile e costituire la chiave per risolvere alcuni problemi di funzionamento del sistema istituzionale, sempre che il Senato delle Regioni e delle autonomie, nella difficoltà di individuare un ruolo preciso, non diventi una sorta di doppione, a base territoriale, del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro”

 

“Ho già detto che il bicameralismo paritario e perfetto, in una forma di governo parlamentare, è poco o per niente compatibile con formule elettorali di tipo bipolare e che dunque il meccanismo di rappresentanza andrebbe cambiato, andando verso un Senato di rappresentanza dei territori, ovvero verso la soppressione di una delle due Camere.

 

Se ciò, per le ragioni sopra ricordate, non fosse politicamente possibile, occorrerebbe allora intervenire su una delle due Camere (presumibilmente, il Senato) depotenziando la carica maggioritaria e comunque distorsiva della formula elettorale , in modo da rendere possibile (o comunque più facile) “adeguare” la maggioranza uscita in Senato a quella uscita alla Camera, eletta invece con una legge più “dis-rappresentativa”. Si potrebbe così pensare per il Senato ad una legge elettorale simile a quella del Senato 1948-1993, che – sul modello tedesco - coniughi collegi uninominali (per rappresentare i territori, secondo la richiesta costituzionale) e risultato proporzionale (per “adeguare” la maggioranza del Senato a quella della Camera)”.

 

A questo punto, visto che “la soppressione” del Senato non è più un’opzione perseguibile, bisognerà vedere in che modo il Senato sarà “depotenziato”. Certo è che i sostenitori dell’elezione diretta del Senato puntano a un “depotenziamento” molto “soft”, mentre gli altri cercano in tutti i modi di “adeguarlo” alle esigenze di governo. Tra l’altro, e per dovere di imparzialità, ci sono costituzionalisti che, nel complesso, non vedono una “crisi di legittimazione” nel fatto che non ci sia un diretto “coinvolgimento del corpo elettorale” nell’elezione dei senatori : “Non sembrano emergere preclusioni di sorta a considerare l’elezione indiretta  del Senato una delle possibili forme della sovranità che la Costituzione ben potrebbe contemplare alla luce  delle virtualità che la riforma del Titolo V ha impresso al principio di sovranità” (3).

 

Aspettiamo gli eventi.

 

 

Nota

1)      Legislatura 14ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 543 del 19/02/2004. D’Onofrio Relatore.

 

2)      Senato della Repubblica, XIV Legislatura. 554° Seduta pubblica. Resoconto stenografico. Mercoledì, 3 marzo 2004. D’Onofrio Relatore.

 

3)      L. Castelli, Il senato delle autonomie: ragioni, modelli, vicende, 2010,  p.67.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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